Apindustria Confimi Verona ha tenuto questa mattina la tradizionale conferenza stampa di fine anno. Il presidente Renato Della Bella ha tracciato il bilancio del 2020 e ha delineato le strategie future che vedranno impegnate le Piccole e Medie Imprese scaligere in considerazione dell’attuale contesto economico, profondamente segnato dalla pandemia.
Gli associati sono circa 750, 14mila i dipendenti e il fatturato come quote associative ammonta all’incirca a un milione e 400mila. In Apindustria Verona si è registrato un turnover molto basso, con più di metà delle aziende associate da oltre vent’anni. Il gruppo di fatturato mediamente va dai cinque ai dieci milioni, mentre il gruppo dei dipendenti va dai dieci ai trenta. Un dato su tutti inquadra però la situazione e mette in allarme: nel 2020 il ricorso agli ammortizzatori sociali (tra cui cassa integrazione ordinaria e in deroga) ha riguardato 2/5 delle aziende associate. La stima delle perdite in termini di fatturato si attesta intorno al 15%, mentre per quanto riguarda i settori più colpiti le percentuali sono più marcate, tra il 40 e il 60%. A preoccupare Apindisutria tuttavia è il 2021 e l’incertezza che vi gravita attorno.
Renato della Bella ha manifestato il suo timore per l’incapacità gestionale del Governo: «Si è sempre pensato che noi imprenditori potessimo farcela da soli, ma ci sono alcune situazioni che ci pongono tutti sulla stessa barca. L’unico modo per affrontare queste emergenze è creare una situazione in Italia in cui tutti si muovano nella stessa direzione e quest’anno l’Italia ha manifestato tutti i suoi limiti. L’immagine politica sta dimostrando tutta la sua incapacità nel gestire situazioni non ordinarie. La nostra preoccupazione è che il 2021 si trasformi nell’anno dell’emergenza economica».
Riguardo il mancato coinvolgimento delle banche nei tavoli decisionali: «Il comparto banche in questa situazione è molto assente. In troppe circostanze ha dato un immagine di sé non chiara, presente solo nel momento di fare i propri interessi. Durante la prima ondata pandemica si parlava di “imprese-banche-governo”, nella seconda ondata le banche non sono minimamente coinvolte. Ad oggi abbiamo un sistema bancario abituato ad analizzare i dati basati sui flussi di cassa. I flussi delle nostre aziende verranno penalizzati: le nostre aziende hanno infatti peggiorato gli indici di indebitamento e patrimoniali. La manifattura veronese ha retto bene, esclusi i settori coinvolti nel tessile, commercio e turismo, ma la preoccupazione è che – se un anno lo si può reggere – due diventano eccessivi anche per aziende strutturate come le nostre».
Il 2021 farà dunque da spartiacque, poi sarà inevitabile la trasformazione. «In sinergia con i nostri associati, stiamo cercando formule innovative dal punto di vista commerciale: vendite online per chi ha la possibilità di attuarle, esposizioni digitali del portafoglio prodotti, organizzazione di incontri virtuali coi clienti».
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Fondamentale sarà inserire figure nuove per arricchire il patrimonio di conoscenze acquisite: «Nello scenario attuale e futuro del Made in Italy si faranno sempre più strada professionalità con un ruolo chiave: dagli export manager agli ingegneri gestionali o specializzati nell’evoluzione di prodotto e impianti. Senza dimenticare le figure produttive e impiegatizie che saranno obbligate a evolvere attraverso la formazione continua, pena l’inevitabile uscita dal mondo del lavoro. Noi di Apindustria abbiamo già iniziato a farlo, perché non abbiamo tempo. Non c’è una seconda chance: chi sbaglia paga con la perdita della propria azienda. Tuttavia, non avvertiamo nel decisore politico la nostra stessa urgenza».
A livello locale, fondamentale è continuare a fare rete: favorendo sinergie con le parti sindacali, proseguendo il confronto con l’Università di Verona, partecipando alla discussione su scelte legate al fare impresa (dall’aeroporto alla logistica, dalla creazione delle infrastrutture ai poli intermodali fino alla gestione dell’energia) e avendo voce in capitolo su decisioni che per il “sistema Verona” si sono rivelate sbagliate. Della Bella ha posto grande enfasi sui laureandi, futuro dell’impresa veronese. «L’imprenditore oggi vive nell’incertezza del futuro. Dall’altra parte, manca per il Paese una strategia che non guardi solo a “ristori” temporanei, ma a una ripresa focalizzata su innovazione, ricerca e sviluppo, crescita dimensionale per attenuare malessere e tensioni sociali che si sono innescati».
«A partire da questi presupposti, gli imprenditori devono tornare a essere protagonisti – conclude il presidente delle PMI scaligere di Apindustria –. Scegliendo dialogo e confronto. Perché se dopo la pandemia nulla sarà più come prima, è dovere di tutti far in modo che il cambiamento volga al meglio. Si deve tornare a fare sistema, superando schemi e rigidità derivanti da rivalità e piani politici o da rendite di ruolo. Le associazioni, la politica, e quel poco di finanza che si è interessata alla causa, devono tornare a collaborare tra loro. Verona deve ritornare ai primi posti tra le città non soltanto come vivibilità, ma per produzione di ricchezza e benessere».
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