Il violoncellista Ettore Pagano chiude il Ristori Baroque Festival

Sarà il giovane ma già affermato violoncellista Ettore Pagano a chiudere, domani 11 marzo alle ore 20, nello Spazio San Pietro in Monastero (via Garibaldi, 3) la prima edizione del Ristori Baroque Festival.

Ettore Pagano Ristori Baroque Festival
Ettore Pagano

Talento, varietà tecnica ai limiti del “possibile strumentale”, razionalità e poesia. Sarà il giovane ma già affermato violoncellista Ettore Pagano a chiudere, sabato l’11 marzo alle ore 20 nello Spazio San Pietro in Monastero (via Garibaldi, 3) la prima edizione del Ristori Baroque Festival con il programma “J.S Bach – Le suite per Violoncello Solo NN. 2, 3, 6”, tratte da una tra le più note e virtuosistiche opere mai scritte per violoncello.

Dopo André Lislevand, un altro giovane talento approda, dunque, a Verona per questo ultimo appuntamento del Festival di musica Barocca. Classe 2003, romano, Ettore Pagano è oggi tra i musicisti più premiati e richiesti a livello mondiale: abbraccia lo studio del violoncello a nove anni come allievo dell’Accademia Chigiana sotto la guida dei violoncellisti Antonio Meneses e David Geringas; quindi, frequenta la Pavia Cello Academy con Enrico Dindo e poi l’Accademia Walter Stauffer di Cremona; infine, si laurea con lode e menzione al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma. 

Dal 2013 ad oggi ha ricevuto il primo premio assoluto in oltre 40 concorsi nazionali e internazionali: il prestigioso Khachaturian Cello Competition, svoltosi nel giugno 2022 a Yerevan in Armenia, è solo l’ultimo riconoscimento, in ordine di tempo, a riconoscerne la maestria con cui suona un violoncello del Maestro Giorgio Grisales. Tra gli altri, nel 2019 ha vinto il Primo premio al Concorso “Giovani musicisti” promosso dalla Filarmonica della Scala.

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Le sei suites e la tensione verso i confini del “possibile strumentale”

L’esecuzione integrale delle “Sei Suites per violoncello solo” di Johann Sebastian Bach non è più una rarità nelle consuetudini della vita concertistica, ma costituisce sempre un’esperienza di significato e valore eccezionali sia per il violoncellista, che ne conosce rischi e gratificazioni, sia per l’ascoltatore che ha la fortuna di beneficiarne. Una doppia valenza che deriva dal significato originario della partitura, nata come opera pedagogica e formativa di tecnica strumentale e di suprema spiritualità: concentrati in un solo strumento troviamo qualità e varietà di tecnica, di invenzione, razionalità e poesia. Stupisce l’ardire, quasi irreale, cui viene piegata la mole massiccia del violoncello, la sua ombrosa voluminosità. A colpire è la profondità, la severità e l’austerità intellettuale unite all’effusione del sentire che scaturiscono dalla medesima tensione verso i confini del possibile strumentale. 

Della raccolta non ci è pervenuto l’autografo ma una copia (un tempo ritenuta erroneamente autografa) della moglie di Bach, Anna Magdalena. La prima pubblicazione avvenne solo settantacinque anni dopo la morte dell’autore (Vienna 1825) con il titolo Six Sonates ou Etudes pour le Violoncello solo, ben più tarda la loro acquisizione nelle sale da concerto.

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Ciò che accomuna le sei Suites è l’aggiunta all’inizio dei quattro tempi fondamentali di rito (Allemanda, Corrente, Sarabanda e Giga) di un esteso e caratterizzante (e dunque ogni volta diverso nello stile) Preludio e l’inserimento di una coppia di danze tra la Sarabanda e la Giga. Ne risulta una costruzione in due grandi sezioni, tra loro speculari, di tre pezzi ciascuna, con al centro la Sarabanda: Preludio, Allemanda, Corrente, Sarabanda, Danza I, Danza II, Giga.

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