Lei, la costumista dell’Arena

Foto EnneviFondazione Arena di Verona

(Foto EnneviFondazione Arena di Verona)

Comincia già molto prima del gong che annuncia l’inizio della la magia che rende il Festival Lirico dell’Arena di Verona quello che è: uno sguardo al dietro le quinte del reparto della sartoria, coordinato da Silvia Bonetti, ci svela il lavoro delle mani instancabili che creano i costumi più ammirati.

È salita sul palco di un’Arena imbastita nei minimi dettagli, lo scorso 22 giugno, la mezzo-soprano russa Anna Goryachova: la sua passionale – e appassionata – Carmen, grazie anche alla rilettura inedita dell’opera di Bizet fatta dal regista argentino Hugo de Ana, ha smosso il cuore un po’ di tutta la platea, se già non ci avevano pensato le trentadue rose rosse che “sedute” simbolicamente al posto n° 32, ricordavano il numero di donne uccise per mano di un uomo dall’inizio del 2018. È così che si è aperta l’edizione del Festival Lirico di quest’anno, con la storia del «più famoso femminicidio della storia», come l’ha descritto Cecilia Gasdia, un tempo cantante lirica e oggi prima donna Sovrintendente della Fondazione Arena. E indimenticabili resteranno anche i costumi dell’opera in questione: sono ben 900 gli abiti vintage che hanno vestito protagonisti, coristi e comparse, colorando di tinte calde il palco dell’Arena. E una buona parte del merito di questa ondata colorata e baroccheggiante va anche ai laboratori areniani, che hanno prodotto manualmente la maggior parte di questi costumi: accanto ai circa 150 cappelli originali importati direttamente dalla Spagna e le nacchere per le mime, l’universo di tessuti, pizzi e lustrini hanno saputo dare una marcia in più alla già acclamata rappresentazione.

Per farci raccontare l’incanto dietro queste stoffe, abbiamo intervistato Silvia Bonetti, responsabile del Laboratorio di Sartoria e Calzoleria dell’Arena dal 1999 e, dal 2017, anche del reparto Trucco e Parrucco. «È un lavoro duro» – inizia Silvia, senza esitazioni – «ma anche molto appagante». Il suo compito non si esaurisce, infatti, nella realizzazione degli abiti, ma comporta anche l’organizzazione e la gestione di tutti i costumi delle varie rappresentazioni. Sono al momento oltre trenta le persone che animano il reparto della sartoria dell’Arena e che, oltre ai giorni, intensissimi, del Festival, mettono a disposizione le loro mani sagge tutto l’anno: il lavoro per le singole rappresentazioni comincia almeno due mesi prima della serata di apertura, non solo nel caso delle produzioni degli abiti “da zero”, ma anche in quello del ripristino e della messa a misura di quelli già esistenti. Hanno stimato in 5000 le spille, e in almeno un altro migliaio gli aghi, che ogni anno il quinto capannone dei laboratori areniani, quello dedicato, appunto, alla sartoria, consuma e appunta sui chilometri di stoffe necessarie per dare vita ai vari personaggi: un numero che non stupisce se si pensa che sono circa 3500 i costumi che, tra quelli prodotti dal laboratorio e quelli ripristinati da rappresentazioni precedenti, passano tra le mani della sartoria areniana. Solo per la Carmen, per fare un esempio, i dieci ruoli principali prevedono ventisei cambi che è compito delle sarte gestire – che devono poi vestire 160 coristi, 180 comparse, 50 ballerini e molti altri personaggi minori. Un lavoro minuzioso, che sposa precisione e un certo animo creativo, ma che lascia spazio per pochissimi errori. Perché in questo caso, si può proprio dire, è anche l’abito che fa l’opera.