L’Italia al sesto posto in Ue per la pressione fiscale

La CGIA ha comparato la pressione fiscale dei Paesi dell'Unione Europea, e ha registrato la sesta posizione per l'Italia, con 2,2 punti percentuali in più rispetto alla media. Stabilito inoltre che l'Italia, insieme al Portogallo, è il Paese con la burocrazia per il pagamento delle tasse più lenta e labirintica d'Europa, con una media di 238 ore perse all'anno per gli imprenditori per compilare tutte le informazioni necessarie.

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La CGIA ha comparato la pressione fiscale di tutti i 28 paesi dell’UE. Dopodiché, ha calcolato quanto pagherebbe in più o in meno di tasse una famiglia media italiana se subisse la pressione fiscale del paese europeo oggetto del confronto. Avendo registrato una pressione fiscale superiore di 2,2 punti percentuali rispetto al dato medio dell’Unione, nel 2019 ogni famiglia italiana avrebbe risparmiato mille e 506 euro.

Afferma il coordinatore dell’Ufficio studi CGIA, Paolo Zabeo: «Con la prossima legge di Bilancio è necessario un intervento choc che nel giro di qualche anno riduca di almeno 3-4 punti percentuali la pressione fiscale. Chi ritiene che siano sufficienti solo dieci miliardi si sbaglia di grosso: questa cifra è insufficiente. Per il 2021 è necessaria una contrazione di almeno venti miliardi di euro e questo obbiettivo potrà essere raggiunto solo se si riuscirà ad abbassare, di pari importo, la spesa pubblica improduttiva e una parte delle agevolazioni fiscali. Compiere questa operazione, comunque, non sarà per niente facile. Negli ultimi dieci anni, infatti, la spending review non ha prodotto risultati apprezzabili, mentre il numero delle  deduzioni e delle detrazioni fiscali è aumentato a dismisura, soprattutto in questo periodo di Covid».

Un peso tributario eccessivo come quello presente nel nostro Paese costituisce un problema sia perché alleggerisce la disponibilità economica di tante famiglie e di altrettante imprese sia perché drena risorse che altrimenti potrebbero essere investite per favorire i consumi, gli investimenti e, quindi, lo sviluppo del sistema economico.

Sottolinea il segretario della CGIA, Renato Mason: «Con un carico fiscale così eccessivo e una platea di servizi erogati dalla nostra Pubblica amministrazione che negli ultimi anni è scesa sia in termini di qualità che di quantità, questa situazione ha contribuito a determinare una contrazione della domanda interna e un crollo degli investimenti pubblici. Ma oltre a tagliare le tasse è altrettanto importante semplificare il nostro sistema fiscale. Pagare le imposte è diventato sempre più difficile: lo dicono gli esperti, come i commercialisti e i tecnici delle associazioni di categoria. Figuriamoci come la pensano i piccoli imprenditori che oltre a occuparsi della propria attività, spesso sono chiamati a misurarsi con una burocrazia fiscale astrusa e scriteriata che non ha eguali nel resto d’Europa».

Stando agli ultimi dati disponibili (media anno 2019), la pressione fiscale in Italia si è fermata al 42,4% del Pil, in aumento rispetto al 2018 di 0,7 punti percentuali. Questo incremento è avvenuto dopo cinque anni di costante riduzione del carico fiscale. Dopo il picco massimo di tutti i tempi toccato nel 2013, il peso di tasse e contributi ha cominciato a scendere.

Tra i 28 paesi che nel 2019 costituivano l’Unione europea, l’Italia si è classificata al sesto posto per quanto riguarda il peso della pressione fiscale in percentuale del Pil, con il 42,2%. La Danimarca presenta il carico fiscale più importante (47,6%), seguono la Francia (47,3%), il Belgio (45,5%), la Svezia (43,5%) e l’Austria (42,9%). Tra i nostri principali competitor la Germania presenta un peso fiscale complessivo del 41,6% e il Regno Unito e la Spagna, entrambe con un carico fiscale complessivo del 35,2%.

Oltre ad avere la pressione fiscale tra le più elevate d’Europa, l’Italia è il Paese, assieme al Portogallo, dove pagare le tasse è più difficile, in particolar modo per le aziende. Secondo le ultime statistiche elaborate dalla Banca Mondiale (Doing Business 2020), i nostri imprenditori “perdono” 30 giorni all’anno (pari a 238 ore) per raccogliere tutte le informazioni necessarie per calcolare le imposte dovute; per completare tutte le dichiarazioni dei redditi e per presentarle all’Amministrazione finanziaria; per effettuare il pagamento online o presso le autorità preposte.