Il settore vitivinicolo è uno dei comparti trainanti del nostro Paese, in particolare della Regione Veneto. Nonostante la pandemia, quello del vino made in Italy, è uno dei pochi settori che con l’export ha guadagnato 6,3mliardi di euro. Tuttavia, secondo le stime di Coldiretti, l’attuale situazione sanitaria ha acuito un fenomeno già in atto da alcuni anni, ovvero la perdita del valore del vino che colpisce duramente le medie e piccole aziende diffuse capillarmente su tutto il territorio regionale.
Per fare chiarezza, abbiamo parlato con Alberto Zenato, presidente dall’Associazione Famiglie Storiche dell’Amarone: 13 aziende storiche che producono un’eccellenza riconosciuta in tutto il mondo per un fatturato complessivo di 70milioni di euro.
Quanto è stato impattante il Covid nel settore vitivinicolo?
«E’ stato un duro colpo, soprattutto per quelle famiglie orientate al mercato dell’Ho.Re.Ca con la vendita tradizionale al settore della ristorazione e ai wine bar. Sicuramente è il comparto più duramente colpito dalle chiusure totali poi parziali con una leggera ripresa registrata durante l’estate. Il lavoro si è ridotto drasticamente in questo canale di vendita ma la nostra Associazione è stata dinamica nella ripresa sperimentando vie alternative come quella del e-commerce che sta crescendo esponenzialmente in questo periodo. Quella della vendita on line era una strategia già navigata ma che ha acquistato slancio in questo periodo permettendo di recuperare le perdite rintracciate sul mercato tradizionale».
«L’estero è un mercato trainante ed è scandito, oltre al canale tradizionale e all’e-commerce, dal dettaglio specializzato. Inoltre, in Paesi come la Scandinavia e il Canada, il mercato del vino è in mano al monopolio dello Stato per cui i negozi sono sempre rimasti aperti e la vendita del vino non ha subito interruzioni. Il consumo di vini di qualità è tornato ad abitare le pareti domestiche dove si è riscoperto il piace di trascorrere del tempo in famiglia in compagnia di un buon bicchiere».
Per quanto riguarda la produzione, quel è il bilancio del 2020?
«Dal punto di vista produttivo è stato un anno nella media storica, non abbiamo goduto di una produzione abbondante a causa dell’andamento stagionale altalenante. Complessivamente una buona annata tenendo conto della media registrata in Valpolicella nell’ultima decade. Questo ci ha permesso di selezionare le uve migliori da porre nei fruttai ad appassire da cui nascerà, sicuramente, un ottimo Amarone».
Quanto ha influito il doppio rinvio del Vinitaly (2019 e 2020) nel mercato vitivinicolo?
«Strutturare eventi in questo momento è un’impresa complessa, soprattutto se si tratta di grandi fiere di riferimento mondiale come il Vinitaly; sono fiducioso per il 2022 e confido in un evento in presenza. L’Amarone è un prodotto che va gustato, spiegato e apprezzato in presenza attraverso un confronto diretto produttore-consumatore: questa è la grande attività garanzia di qualità che il Vinitaly permette di avviare ogni anno e che in questi due anni, con rammarico, è venuta a mancare. Per supplire a questa mancanza abbiamo intensificato il canale digitale e svolgiamo anche delle degustazioni online».
Quali sono i progetti futuri dell’Associazione Famiglie Storiche dell’Amarone?
«Stiamo pianificando degli eventi per il prossimo semestre fiduciosi che ci sia una ripresa delle attività in presenza. Abbiamo appena concluso una master class con giornalisti del settore vinicolo e di life style con l’obiettivo di far conoscere maggiormente l’Amarone. In cantiere anche diversi eventi all’estero, non solo in Europa, ma prima di avviare una concreta progettazione attendiamo le direttive ministeriali e un maggiore controllo sulla gestione della pandemia».