Festival della Bellezza, al via con il Dante di Cacciari e Giannini

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«L’attore scava con il suo movimento uno spazio, con la sua voce un silenzio» ha citato Giancarlo Giannini nel divertente scambio con Massimo Cacciari al termine dello spettacolo di apertura del Festival della Bellezza  “Amor ch’a nullo amato e il folle volo”. E il silenzio attento del sold out al Teatro Romano ha accompagnato l’interpretazione dei canti V e XXVI della Comedia dantesca offerta dal filosofo.

Giancarlo Gianni ha aperto con la lettura del canto dedicato agli sfortunati amanti travolti dalla passione ma traditi. L’analisi di Massimo Cacciari ha svelato la profondità celata nelle terzine del sommo vate, che rivelano una concezione dell’amore come prerogativa delle anime gentili, ma che deve essere guidato nel suo cammino per elevare l’anima. Un cammino, ha proseguito Cacciari, che lo stesso Dante ha rischiato di veder travisato e che solo la grazia – tramite Virgilio e Beatrice – gli ha permesso di proseguire.

L’accostamento tra i due canti è ardito solo in apparenza, ha spiegato ancora il professore. Cosa si rimprovera ai due amanti? Qual è la colpa di Ulisse?  Francesca non è pentita del suo amore, anzi rivendica la nobiltà della loro passione e nell’indicare Virgilio, mette in chiaro a Dante di essere una donna cortese e di cultura. L’inferno – ci dice Cacciari – ha accolto i due amanti che uccisi a tradimento non hanno avuto modo di pentirsi – occasione di salvezza anche nel momento finale se proveniente dal cuore.

La colpa del re di Itaca è più sottile. Non è stato l’inganno del cavallo di Troia, condizione che si potrebbe leggere comunque in chiave provvidenziale della fondazione di Roma, a condurlo alla dannazione. Ulisse – come lo vede il ghibellin fuggiasco – pecca per la sua indomabile sete di conoscenza, che lo porta (meglio, lo trascina)  lontano dalla donna amata anche quando potrebbe ritornare ad Itaca e fermarsi.

L’amore come parabola della conoscenza, che di perfezione in perfezione, guida il cammino dell’uomo cortese. Dante non condanna i due amanti, anzi rimane talmente scosso da non riuscire a parlare e “cadde, come corpo morto cadde”. Così come non condanna Ulisse, il cui canto si chiude senza commento, solo con l’immagine del mare oltre le colonne d’Ercole che si richiude sulla nave dell’astuto sovrano.