Disagio giovanile e baby gang: la fotografia del Veronese

Disagio giovanile e baby gang. Sono parole che spesso sentiamo in televisione o leggiamo nei giornali. Ma perché se ne parla sempre di più in questi mesi? Con la psicologa e psicoterapeuta Ilenia Bozzola abbiamo analizzato la situazione veronese post-lockdown, che in tanti casi ha acutizzato problemi già esistenti, fino ad arrivare ad alcuni casi di cronaca particolarmente gravi avvenuti sul territorio.

Ilenia Bozzola
Ilenia Bozzola, psicologa e psicoterapeuta

L’intervista alla psicologa e psicoterapeuta Ilenia Bozzola

I recenti fatti di cronaca hanno messo in risalto il disagio giovanile di cui anche Verona è vittima. Proprio sabato 14 maggio, ai giardini dell’Arsenale di Verona la Rete degli studenti medi e l’Unione degli universitari hanno dato vita all’evento intitolato “Il futuro ci spaventa più di ogni altra cosa”, una provocazione volta a chiedere un riscontro alle istituzioni e alle varie fasce generazionali rispetto al diffuso malessere psicologico dei giovani. A parlare di questo aspetto su Radio Adige Tv è Ilenia Bozzola, psicologa e psicoterapeuta.

Si parla tanto di disagio giovanile, scoppiato effettivamente con il lockdown. Da professionista, qual è la fotografia di questa situazione?

La situazione è abbastanza critica. Credo che la pandemia abbia portato in superficie un malessere che c’era già da prima. I giovani in questi anni ci stanno dicendo che non stanno bene e noi adulti non riusciamo a capirli e aiutarli. La pandemia, e ora la guerra, hanno alimentato questa situazione e ha portato i giovani ulteriormente in crisi, anche per via alla mancanza di una visione concreta del futuro.

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C’è stato un incremento di ragazzini molto giovani che si rivolgono a uno psicologo, lo ha riscontrato anche nel suo caso?

Sì. Ho riscontrato sia una diminuzione di età, sia bambini che adolescenti. I ragazzi stanno chiedendo a loro modo una mano.

Lavori tanto anche con le scuole. Anche in questo “universo” c’è tanta richiesta?

Assolutamente sì. La nota positiva è che all’interno della scuola lo psicologo è sempre più inserito. Anche chiedere aiuto quindi sta diventando pressoché normale. L’accesso dunque è facilitato per i giovani. Dall’altra parte sto riscontrando una richiesta maggiore di aiuto anche allo sportello d’ascolto, anche in età molto giovane.

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In tutto questo, i genitori che ruolo svolgono?

I genitori sono al centro di questi giovani. Fanno parte della loro crescita e sviluppo: hanno quindi un ruolo determinante. Sono anche loro in estrema difficoltà, perché spesso secondo me la richiesta di aiuto arriva tardi. Bisognerebbe intervenire un po’ prima, sfruttando anche la scuola e lo psicologo della scuola.

Parlando di casi di cronaca, salta subito all’occhio il caso del monopattino rubato a Verona da una baby gang composta da ragazzine di 14-15 anni. Come vedi questa situazione?

Io credo che i giovani stiano utilizzando tantissimo i social, in un modo non funzionale. Anche il gesto aggressivo di rubare un monopattino diventa una spettacolarizzazione e un gesto che assume un significato nel momento in cui viene condiviso con i follower. È questo meccanismo che diventa disfunzionale e pericoloso. Il giovane va ad agire in maniera scorretta per guadagnare più amicizie, che spesso equivalgono a più follower.

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Si parla sempre anche dei social network, appunto. In questa partita che ruolo giocano?

Hanno un ruolo centrale. I giovani utilizzano gran parte delle ore della giornata per rimanere in rete con i loro contatti. La cosa in sé non è sbagliata, diventa problematica quando la condivisione va oltre al limite, magari condividendo un reato. Fin dalla scuola primaria andrebbe fatta prevenzione sull’uso consapevole dei social network, e i genitori giocano anche qui un ruolo fondamentale.

Quali potrebbero essere, a tuo avviso, alcune soluzioni per arginare questa situazione problematica?

Bisogna combattere i pregiudizi verso lo psicologo semplicemente provando ad andarci, anche solo per familiarizzare con la figura di questo professionista. I genitori dovrebbero poi avere uno sguardo in più, un dubbio in più e un tentativo in più di ascolto: questo può rivelarsi fondamentale nell’anticipare il progredire di un disagio maggiore.

Secondo te, questa frattura creata dal Covid si risanerà?

Ci vorrà del tempo. La pandemia è stato un trauma, e per essere superata ha bisogno di tempo. Dobbiamo intervenire, però. Non credo sia tutto perduto, dobbiamo però renderci conto che possiamo fare qualcosa e iniziare a farlo per davvero.

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