Si rifiutano di essere nemici. Perché all’odio cieco hanno trovato una soluzione: Daoud Nassar e la sua famiglia, cristiani palestinesi, sulle colline attorno a Betlemme hanno costruito la Tenda delle Nazioni. Un luogo unico nel suo genere, vero esempio di resistenza non violenta, dove gli ospiti di qualsiasi provenienza convivono pacificamente. E piantano alberi.
Sumud. È una parola, di difficile traduzione, che i palestinesi usano per descrivere l’audacia, testarda e paziente, dell’opporre resistenza, con coraggio e ostinazione, ma senza violenza. Daoud Nassar e i suoi fratelli sono decisamente sumud, e la loro Tent of Nations (Tenda delle Nazioni) ne è la massima dimostrazione.
Sulla terra che la famiglia Nassar possiede da cento anni, la fattoria della famiglia è diventata un luogo di crescita e di pace, soprattutto di pace. Completamente circondata da insediamenti israeliani, negli ultimi venticinque anni la fattoria ha accolto chiunque, israeliani e palestinesi (ma tutto il resto del mondo è il benvenuto) per lavorare la terra, per imparare, per fare pace.
Daoud Nassar era uno degli ospiti del Festival Biblico di Verona di quest’anno. Noi l’abbiamo intervistato, per farci raccontare com’è risolvere i conflitti, piantando alberi.
«Giustizia e Pace si baceranno»: è questo il tema scelto per la quinta edizione del Festival Biblico di Verona. Quale significato assumono queste parole per lei?
Le parole del Salmo 85 hanno un significato molto profondo per me, anche se spesso è difficile mettere in pratica ciò che ci dicono. Giustizia e pace sono profondamente connesse tra di loro: senza giustizia non esisterebbe pace, e viceversa. Ma per quanto queste parole siano semplici da comprendere, la vera svolta avviene quando decidiamo di metterle in pratica.
Innanzitutto non possiamo tralasciare il significato di giustizia. Giustizia significa cose diverse a seconda di chi si interroga. Per esempio, per me giustizia significa avere la possibilità di vivere sulla mia terra con dignità, e farlo in maniera pacifica. Ma è certo che non ci sarà mai pace se non si avrà anche giustizia.
Il Salmo 85 si applica molto bene alla nostra storia: quello che cerchiamo di fare, con la Tenda delle Nazioni, è di ottenere la pace, e quindi giustizia, in una situazione molto difficile.
Lei parla di mettere in pratica questo insegnamento. Pensa che la sua fede, il suo essere cristiano, l’abbia in qualche modo influenzata nel costruire la sua Tenda delle Nazioni?
Sì assolutamente, perché quando si parla di pace, si parla innanzitutto della pace che viene dal cuore. E senza fede non può esserci pace nei cuori. E come si può diffondere la pace se non c’è pace nei cuori?
Anche per questo motivo la nostra fede gioca un ruolo fondamentale nella nostra battaglia per diffondere la pace.
«Ci rifiutiamo di essere nemici»: all’ingresso della Tenda delle Nazioni si trova una grande pietra con queste parole. Come riuscite a non essere nemici quando intorno a voi c’è così tanta violenza?
In un contesto politicamente (ma anche economicamente e socialmente) così difficile la prima reazione della gente è quella di non reagire, in effetti, cioè di non rispondere alla violenza, di arrendersi e scappare. Per noi questa non è mai stata un’opzione, noi volevamo trovare una soluzione. Volevamo opporre resistenza, ma agendo in modo diverso.
Così “rifiutarci di essere nemici” è diventata la nostra scelta di resistenza. Il rifiuto dell’odio è un modo attivo di opporre resistenza: per noi non è un segno di debolezza, ma di fede.
Può dirci qual è secondo lei la soluzione – se una soluzione c’è – al conflitto tra Israele e Palestina?
Politicamente parlando, trovare una soluzione è molto difficile. Il mio approccio alla questione è molto diverso da quello puramente politico: io credo che le cose debbano partire dal suolo, dal basso, per arrivare a crescere.
È questa la vera sfida: la pace, come tutto del resto, deve crescere dalla terra, cioè da ciò che noi seminiamo. Proprio come gli alberi. Solo dopo che ci siamo presi cura del suolo possiamo costruirvi qualcosa.
Il processo che conduce alla pace è lungo e tortuoso: è un cammino lungo, da fare passo dopo passo. Ma una volta che hai seminato pace intorno a te, dalla terra non possono che crescere buoni frutti.
Lei gestisce la Tenda delle Nazioni con la sua famiglia. Com’è per i suoi figli crescere in un contesto di questo tipo?
È una domanda molto difficile a cui rispondere. È sempre difficile vivere in un contesto di conflitto, le difficoltà sono molte. Ma ciò che noi cerchiamo di insegnare ai nostri figli è di concentrarsi sulle possibilità, e non sulle difficoltà. È questa la filosofia della Tenda delle Nazioni: come possiamo trasformare la nostra rabbia, la nostra energia negativa, in qualcosa di bello, di utile, di pacifico?
Penso che questa lezione sia molto utile per i miei figli, perché imparino a trovare il lato positivo in tutte le situazioni, anche quelle più difficili, anche in quella in cui ci troviamo.