Marco Mazzi, centinaia di chilometri e non sentirli

Nel tempo libero, Marco Mazzi è un ultramaratoneta di quelli tenaci. Dalla scrivania alle competizioni “estreme” il passo è veloce, ma per una buona causa: è infatti un atleta da cuore grande perché donatore di Fidas Verona.

«Il segreto? È nella motivazione». Marco Mazzi è uno che punta dritto ai propri obiettivi. A passo svelto. Tant’è che la sua passione per la corsa a piedi è evoluta, un chilometro dopo l’altro.
A dare l’energia non è solo il desiderio di sfidare se stessi, alzando l’asticella della difficoltà fino a portare a termine imprese sportive singolari. Di base c’è il desiderio di aiutare il prossimo. Perché Marco è sì un atleta, il cui palmarés conta varie ultramaratone portate a termine con successo. Dal 2002 è donatore di sangue di Fidas Verona nella sezione di Agsm, azienda in cui lavora come impiegato. Passioni, per sport e volontariato, che si sono intrecciate. E corrono alla stessa velocità.
«Tutto è nato per caso», esordisce lo sportivo di Valeggio sul Mincio, ricordando il debutto nelle ultramaratone, quando nel 2000 affrontò la sfida con la bandierina dell’associazione al seguito. Oggetto divenuto un portafortuna, da non abbandonare. Anzi, il legame con la Fidas si è rafforzato, portandolo a diventare testimonial della campagna “Da meno 50 a più 50 gradi per il dono del sangue”.

La prima impresa l’ha conclusa tra il 30 gennaio e il primo febbraio come unico italiano e uno dei due atleti europei in competizione alla Arrowhead 135 mile Winter Ultramarathon in Minnesota, negli Stati Uniti: 220 chilometri di corsa a temperature proibitive. Con il pettorale 91, ha tagliato il traguardo per undicesimo in 46 ore e 31 minuti: «Una grandissima emozione. Un giorno e una notte sono passati senza che me ne accorgessi, immerso com’ero nella natura incontaminata. Quando la stanchezza si faceva sentire, ho alternato la corsa al passo sostenuto, ma non mi sono mai fermato». Neve fresca e vento, assieme al fatto di dover trainare una slitta con i viveri, non hanno facilitato le cose. A ripagare la fatica è stato il calore che sentiva da oltreoceano, con la moglie Maddalena e i figli Niccolò e Martina a fare il tifo assieme al supporto della grande famiglia di Fidas Verona e degli sponsor Agsm Verona e Canadiens.

 

Il 27 giugno Marco spegnerà 50 candeline: altra tappa all’insegna di un numero che caratterizza l’avventura che lo attende. Quest’estate toccherà l’estremo opposto: più 50 gradi sotto il sole californiano per la Badwater Ultramarathon, nella Death Valley, corsa che aveva già sperimentato nel 2012 e 2013. Condizioni fisiche permettendo, a marzo affronterà i 280 chilometri della Milano-Sanremo e a maggio i 220 chilometri della sua settima Nove Colli Running; a settembre percorrerà i 246 chilometri della Spartathlon, già rodata quattro volte; a novembre si cimenterà nella Asa Atene-Sparta-Atene. Iniziative che hanno una finalità: sensibilizzare la donazione di sangue. «Non è la prima volta che partecipo a ultramaratone: per me la corsa è divertimento e libertà. Se riuscirò a completarle tutte nel 2017, sarò il primo al mondo a raggiungere questo record: non è un’impresa impossibile, così come non lo è donare il sangue. Basta volerlo, in qualsiasi campo uno si voglia cimentare», ripete.

«L’impresa di Marco racchiude tanti significati in comune con la donazione di sangue: la passione, la tenacia, i sani stili di vita che consentono di stare bene e di fare del bene agli altri», fa eco al maratoneta il presidente di Fidas Verona, Massimiliano Bonifacio. «Con la stessa passione nel 2016 i nostri donatori hanno teso il braccio 21.949 volte, con un aumento di quasi l’1% rispetto all’anno precedente». E la sfida, tanto nell’affrontare una gara con le scarpe da running ai piedi quanto un imprevisto che può capitare nella vita, è (non a caso) anche l’anagramma di Fidas.