Nuovi tesori emergono dal sito archeologico di Aquileia. A giugno si è conclusa la campagna di scavi condotta dal dipartimento Culture e civiltà dell’ateneo scaligero e diretta da Patrizia Basso, docente di Archeologia classica, e in collaborazione con Diana Dobreva. Un’équipe di studenti, dottori di ricerca e dottorandi ha avviato una ricerca archeologica nell’area del Fondo ex Pasqualis, posto all’estremità sud-occidentale di Aquileia e conferito alla Fondazione Aquileia dal 2008.
I lavori sono stati condotti su concessione ministeriale, in accordo con la Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia e in particolare con la dott.ssa Paola Ventura, in collaborazione scientifica con il direttore della Fondazione Aquileia Cristiano Tiussi e con il sostegno economico della Fondazione stessa.
Il terreno era già stato parzialmente indagato tra il 1953 e il 1954 da parte di Giovanni Brusin, storico e archeologo italiano, che aveva individuato varie strutture tardoantiche e, in particolare, tre aree pavimentate in lastre lapidee, interpretate come piazze per la vendita di merci. Brusin aveva individuato anche due cinte murarie parallele fra loro e al fiume Natissa: nonostante i numerosi dati emersi con quegli scavi, molte erano le questioni rimaste irrisolte su questo settore.
“Dopo gli scavi novecenteschi, in collaborazione con Esplora srl, abbiamo condotto un rilievo con il drone delle murature rimaste alla luce e aperte alla vista del pubblico e una prospezione geofisica su tutto l’areale. – affermano gli archeologi – Con la campagna 2018, grazie al supporto logistico della ditta Sap, si sono aperti due ampi settori di scavo, confermando alcuni dati noti, ma anche rivelando assolute novità. Il saggio aperto sul lastricato più occidentale ha messo in luce almeno tre fasi di frequentazione precedenti – continuano gli studiosi – che coprono un arco cronologico dal primo al quinto secolo dopo Cristo, caratterizzate da murature e pilastri. Di grande interesse è un livello di travi bruciate, dove si sono raccolti cumuli di semi di cereali, probabilmente in origine contenuti in sacchi che, grazie alle analisi paleobotaniche, potranno fornire dati di grande utilità sull’alimentazione del tempo.
Il saggio aperto fra le due cinte murarie ha confermato la datazione di quella più interna nel quarto secolo e di quella più esterna nel quinto dopo Cristo, rivelandone le tecniche di fondazione prima non note. Il possente muro interno venne edificato recuperando i materiali costruttivi da altri monumenti urbani (basi di statue con iscrizione, elementi di cornici modanate, colonne ecc.) per realizzare così una robusta struttura fortificatoria in un momento di pressanti esigenze difensive. “Di grande importanza per ricostruire l’alzato è stato il rinvenimento del crollo di un ampio settore della sua facciata”- affermano gli archeologi– “costituita da ricorsi di mattoni e altri di blocchi lapidei e dotata anche di una piccola feritoia”.
Il muro più esterno, invece, era costruito mediante un preliminare consolidamento del terreno con pali di legno e anfore rinvenuti in ottimo stato di conservazione. Caratterizzato da alcune aperture con rampe di risalita verso le piazze, le rampe, con buona probabilità, erano connesse ad approdi sul fiume, funzionali al rifornimento delle aree di vendita.
“I risultati preliminari dei due saggi confermano la stretta connessione fra il fiume, le mura e le piazze. Il complesso unitario, posto immediatamente a sud della basilica, giocava un ruolo cruciale nell’urbanistica e nella vita economica e sociale di una fase di grande vitalità di Aquileia quale fu il tardoantico”, affermano gli archeologi.
Durante lo scavo l’area è sempre rimasta aperta al pubblico e, con l’aiuto degli studenti, si sono organizzate spiegazioni e visite guidate ai lavori in un’interessante esperienza di archeologia pubblica e condivisa.