C’è l’asilo nel bosco, c’è la scuola steineriana, c’è quella libertaria. Un viaggio breve nella didattica alternativa che ha aule che sono radure, si nutre di auto-apprendimento, non ha maestri ma solo “accompagnatori”.
Le guance devono essere sempre rosse. Appena si vede un principio di congelamento, si portano subito i bambini al caldo e al coperto. Funziona così in alcuni Paesi del nord Europa dove gli asili nel bosco sono cosa comune. Hanno pure finanziamenti statali. Per necessità atmosferiche e freddi imperativi, questa variante scolastica funge anche da palestra di acclimatamento.
L’idea di un apprendimento, come dire, boschivo si fa risalire alla Danimarca del 1950 e ad una mamma, Elle Flatau che, a Søllerød, faceva giocare i suoi bambini a lungo tra le verdeggianti ombre delle piante. L’esperienza tra legno, fronde arboree e pozzanghere (mai evitate) divenne una scuola pedagogica che spopolò in breve nel Nord Europa.
Negli ultimi anni, il modello è stato mutuato anche in Italia, non senza leggerezze. Nei dintorni di un buco legislativo che tarda ad essere colmato, sono germogliate numerose strutture private che – con i dovuti distingui – lasciano praterie di libertà non solo in termini di approccio all’apprendimento. Molte realtà di questo tipo, soprattutto recentemente, vengono accusate – non sempre a torto – di essere la scorciatoia dei no vax. Non ci sono proroghe di cui servirsi perché non ci sono certificazioni vaccinali da presentare. Come, altrettanto spesso, non è richiesto nessun titolo di studio obbligatorio per maestre e educatori. Le competenze, nel modello nordeuropeo, sono, invece, un prerequisito necessario, senza deroghe, garantito anche dall’occhio statale, sempre puntato mentre eroga i contributi. La sua resa nel contesto italiano, al netto dei casi virtuosi, annovera quindi, qualche volta, gestioni più amatoriali e improvvisate.
È anche vero che, ad esempio, per la piccola scuola libertaria Kether di Avesa, il ruolo di chi insegna è del tutto marginale. Il concetto stesso di “maestro” è superato, si preferisce parlare di “accompagnatore”, visto che il protagonista unico dell’esperienza educativa è, e rimane, il bambino: lui solo, nell’ambito dell’auto-apprendimento, può decidere quali materie affrontare e quali no. Piani si studio ritagliati sul singolo e ridiscussi durante il percorso sono la chiave della scuola, organizzata ogni giorno dai bambini che «costruiscono la loro conoscenza sulla base di continue, precise, insondabili, libere scelte» si legge sul portale web. L’educazione che ne deriva è dunque «incidentale e non adultocentrica».
A Verona, l’istruzione alternativa ha altre declinazioni sfaccettate. C’è la Scuola nel Bosco che ormai è realtà consolidata a Borgo Venezia (ve ne abbiamo parlato su Pantheon 69), dove i bambini stanno fuori sempre, sole o pioggia che sia, e svolgono le attività in aule che sono radure, intrecciando la conoscenza con l’esperienza diretta di toccare l’erba, di accarezzare le foglie.
La natura è al centro anche dell’incedere didattico della Scuola Steiner Waldorf – Verona che accoglie, nella fascia dell’asilo, bimbi di età mista (dai 3 anni ai 7) mentre accorpa le elementari e le medie in un ciclo unico di otto classi. Il maestro unico, affiancato via via da insegnanti di materia, accompagna gli alunni fino al diploma (quello di terza media). La filosofia guida? Un rapporto non gerarchico tra adulto e bambino, il primo deve riconoscere l’autorità del secondo e insieme devono percorrere il sentiero dell’apprendimento. Le discipline sono varie: oltre a due lingue, si insegna anche modellaggio, ginnastica, flauto. La materia obbligatoria? L’euritmia, ovvero l’arte del movimento, creata da Steiner stesso. Un miscuglio «di componenti morali, artistiche e fisico-motorie».